Panta Rei

A giorni uscirà il mio secondo libro di poesie.

Dopo Il Passo e l’Orma, arriva I Giorni e l’Ombra.

Un sogno che avevo in me sin da ragazzina e direi anche da bambina. Quando stavo a letto ammalata e non c’erano Tv, cellulari, i pochi libri da leggere finivano presto, le ore si allungavano con la noia, avevo un mio modo di passare il tempo divertendomi.

Inventavo filastrocche, piccole storie,le ripetevo a me stessa fino a memorizzarle e poi, se trovavo un foglio su cui scrivere, mettevo nero su bianco.

Aspettavo orgogliosa di declamare la strofetta ai miei genitori. Sognavo già allora di inviarla a Reader’s Digest o alla settimana enigmistica o a Topolino.

Piccole cose per piccolissimi trampolini di lancio.

Poi arriva l’età degli anni complicati, l’adolescenza, cominciano i dolori esistenziali, l’amore sembra un miraggio le cui porte si aprono solo a parole magiche che non conosco.

I quaderni a righe di quinta diventano i custodi dei pensieri stile “ Ossian” ,sprizzano tetraggine, parole di morte, respirano gli spazi infiniti di un’anima che cerca il volo intrappolata come si sente tra questa colline e su questa terra.

Quaderni che mi seguono per anni e tra tutti uno solo me ne resta ancora, conservato a testimoniare a me stessa come le ansie esistenziali attuali non siano altre che le stesse di quella sedicenne, le aspirazioni all’infinito una necessità sempre più vitale, la ricerca di luce vera ora come allora.

Dunque chi sono io ?

Come diceva Eraclito “ tutto scorre, tutto cambia ” eppure se ogni mia singola cellula si è rinnovata e ha mutato forma e aspetto, è rimasto lo stesso il nocciolo del mio profondo IO. Silvana ero e Silvana sono.

Dopo tanti anni, è cresciuto, ha messo radici, si è sviluppato, ha dato frutti ma tutto era già in fieri in quel bocciolo che faticosamente si sforzava di aprirsi.

Ancora adesso vivo la fatica del germoglio che si apre. Mi sento come un albero che lentamente ma imperterrito butta rami e foglie e fiori nuovi. Parto faticoso, rivela un pensiero, un’emozione che già viveva in me.

Questa è la nostalgia del passato? Il desiderio di cercare me stessa, quella ragazza di anni fa, di ritrovarla? Mi pare, scrivendo, di capire che se la osservo ora da lontano con saggezza e obiettività, forse mi è concesso di comprenderla.Sia pure in ritardo.

Mi sfuggirà ancora l’IO attuale ma chissà, nel tempo potrò osservare e comprendere un po’ meglio la giovane donna e poi la donna matura che sono seguite, tutte figure che si sono generate una sull’altra.

Guardarsi così da lontano è come fare l’archeologo di se stesso, in se stesso. Simile a chi attraverso lo studio delle rovine cerca di comprendere le civiltà antiche.

Scavando dentro me, trovo le tracce di ciò che ora sono in quelle “Silvana” che mi hanno preceduto.

Tutto scorre, tutto muta e nulla cambia. 

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