“Non lasciare Signore/ che l’ombra pesi/ più della luce”: così si apre una poesia della silloge di Silvana Dal Cero, che esprime bene il contrasto esistenziale tra oscurità e illuminazione, materia e incorporeità; tutti gli ossimori che permeano la nostra coscienza, e le nostre percezioni più intime.
Nella poetica dell’autrice, sono proprio la luce e l’ombra a dar forma, senso e vita alle cose, in un continuo scambio di significati che sono generati da questo continuo, incessante confronto.
L’ombra è buia, fragile, vana; eppure, scaturisce dalla presenza di luce, e ad essa è intimamente legata, diventando insieme una componente indissolubile dei giorni umani, di cui accompagnare e condividere il destino.
Entrambe parlano a Dio, per cercare la sua presenza (le sue tracce “invisibili”) e catturare la rivelazione, per fa risuonare “alte armonie” nell’abbandono estatico e mistico della propria fede.
“Quando si spezzerà il vetro/ vetro che deforma e obnubila / la realtà vera ,/ allora capiremo. / Il vero non è di questo mondo”: eppure, la verità rivelata c’è, ed è quella offerta dalla ricerca di un motore universale e benefico in cui cercare accoglienza, e liberarsi dal frastuono delle paure.
Questa grazia è possibile, ed è offerta agli uomini, siano essi nella luce o nell’ombra, poiché “l’umanità caduta / brama / di tornare alla sua fonte”, allo stesso modo di “onde che ritornano/ alla riva”.
L’ombra scava nel dubbio e da senso alla luce, allo stesso modo in cui le parole esprimono il senso e la necessità del foglio bianco su cui sono vergate; la vita si “lascia scrivere” nella raffinata lirica di Silvana Dal Cero, che con versi brevi e intesi fa propria l’urgenza di un dialogo che da intimo diventa universale, e che si muove ai confini di una coscienza immaginifica e profonda, quel “vortice” che è insieme “luminoso e oscuro”.