Quanto di luce

Era scesa nel giardino a potare le ortensie.

Si avvicinava l’ora dell’autunno, le grandi foglie arrugginite, i fiori marcescenti chiamavano le sue mani: “ Fate luce “ parevano dirle. Raccolse cesoie e guanti e cominciò dal cespuglio solitario dietro casa. Ogni anno più alto e più vasto. E iniziò il taglio. Cercando di individuare i rami giusti, alcuni verdi, altri legnosi, lasciando alcune gemme. Non poteva essere indiscrimanta la potatura, doveva restare qualche speranza di germoglio, qualche speranza di futura fioritura. Come nei sui giorni. Il trasloco era vicino. Doveva buttare tante cose: ma non tutte. Qualche traccia del passato l’avrebbe accompagnata nella nuova casa. Lasciò respirare l’intrico dei rami, fece luce nell’umido groviglio, spalancò fessure al calore del sole. In primavera quel cespuglio avrebbe ancora grondato abbondante bellezza.

Lei oggi si sentiva un Quanto di luce, dove passava illuminava, lasciava il segno, un taglio necessario pur nel dolore, una recisione netta. Perché lei, come la luce, andava verso il centro della Luce.

Quanto emanato dalla sorgente, alla sorgente poi tornava. Frammento luminoso di un fiume inarrestabile di altri quanti. Visibili solo togliendo i veli che li oscuravano. Strappare i veli era una operazione come la potatura: tranciare i rami superflui, tutto ciò che è umbrifero, che porta umidità e marciume, dare aria e luce e vita nuova. Questo il suo compito di Quanto di luce. Lei, giardiniera,lo aveva ben compreso. Per questo lavorare lì su quei 40 metri quadri le piaceva.

Era la sua palestra di vita, lì si allenava, lì prendeva lezione.

Li si svelavano di giorno in giorno alcuni misteri.

Lì si scioglievano i veli.

Dimmi cosa ne pensi, te ne sarei grata.

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