Non sapeva come aveva potuto finire laggiù, su quella piatta pianura contornata da una montagna rocciosa dalle lisce pareti.
Non poteva essere vero! Dai, era un sogno, ora si sarebbe svegliato dentro il suo letto, nella sua camera, e avrebbe sentito mamma chiamare che era ora di alzarsi per andare a scuola!
Si diede qualche leggero pizzicotto. Doveva svegliarsi perché quel sogno non gli piaceva per niente.
Invece, pur dopo aver sbattuto gli occhi, essersi ben strofinato le braccia, e aver dato tanti pizzicotti sul viso, Piero vide che nulla mutava.
Stava davvero in quel luogo nuovo e strano. Pareva d’ essere in un canyon a guardare le rocciose rosse pareti che lo attorniavano.
Solo che non era una valle ma una pianura il luogo ove si trovava.
Era mattina , o almeno Piero immaginava fosse così.
Il sole era basso sull’orizzonte e gli pareva di aver dormito a lungo .
Quasi si stava spaventando. Oh! Non c’era anima viva a parte lui. Un silenzio grande invadeva il cielo e anche il suo cuore.
Piero provò a ricordare per cercare una traccia che gli facesse capire cosa gli era successo.
Ah! Ecco. Gli venne in mente che durante la ricreazione si era sentito un botto gigantesco. Gli pareva di distinguere le voci dei compagni, della maestra che li chiamava, gli sembrò anche di distinguere una nuvola di fumo che avanzava. Poi vuoto totale.
Piero non era un ragazzo che si desse per vinto facilmente. Cominciò a parlarsi ad alta voce, giusto per sentire un rumore e per farsi compagnia e … diciamola tutta… anche per farsi coraggio.
” Adesso Piero ti alzi, e dai un’occhiata intorno. Mica sei finito in fondo a un pozzo.Vedrai che cercando troverai una via d’uscita”.
Detto fatto si rialzò- era ancora semisdraiato- e dette uno sguardo attorno, a 360 gradi. Di buono c’era che il sole si stava davvero alzando, rispetto a poco prima era più alto sull’orizzonte. E ciò significava che aveva davanti a sé una giornata per rientrare a casa, nel suo mondo.
Poi il cielo era azzurro e la temperatura mite. Non era mica poco visto che intorno non c’erano case o ripari visibili.
Al resto preferì non pensare o meglio, cancellò con un colpo di testa le immagini preoccupanti che volevano farsi strada dentro di lui. E il suo ciuffo sventolò come una bandiera dicendo al mondo:
“Io sono Piero, ce la farò.”.
Fece una conta per decidere la direzione da prendere. “ Ambarabà cici cocò, tre civette sul comò,….”.
Considerando che il sole sorge a est, lui si diresse verso sud, almeno così pensò fosse.
Si mise infatti in posizione, come gli avevano insegnato.
“Se vuoi orientarti coi punti cardinali , stendi le braccia, punti la sinistra a est. Allora la schiena sarà rivolta a nord, davanti a te avrai il sud e la destra indicherà l’ovest”.
Bene: una cosa la sapeva. Cominciò a camminare osservando attentamente intorno.
Prima gli era parso che la pianura fosse vuota, desertissima.
Ora vide che c’era sul terreno qualche erbetta, piccola cosa, ma comunque verde e ciò significava che c’era anche dell’ acqua. Sennò come poteva crescere?
Andava piano, scrutando vicino e lontano, con gli orecchi ben tesi. A un certo punto lanciò un richiamo: “ Ehi! Qualcuno mi sente? C’è qualcuno ? Ehi! Sono Piero.”
La voce sembrò rimbalzare intorno a lui. Gli pareva di essere dentro a un cerchio perché l’eco gli rispondeva da ogni direzione. Possibile? Forse significava che le rocce lo attorniavano. In tal caso come sarebbe uscito da quel luogo?
Cercò di non allarmarsi, riprovò a lanciare grida, a chiamare. Intanto la pancia brontolava. Gli mancava il caffellatte e il pane con la marmellata. Non ricordava di aver desiderato così fortemente la colazione. Quando mai? Di solito faceva lo smorfioso, voleva ogni giorno una merendina diversa. Meglio, l’avrebbe voluta perché mica veniva accontentato.
Tornò a guardare a terra: erba, anche qualche bacca, parevano fragoline, erano rosse, piccole. Saranno state commestibili? Piero non aveva scelta: o assaggiare e sperare che non fossero velenose o tenersi la fame.
Ne raccolse una, la mise in bocca, era agrodolce, sì pareva buona. Ne raccolse altre, camminò a testa bassa, frugando il terreno a caccia di bacche. Gli sembrò di essere uno di quegli ominidi che tanto tempo prima avevano abitato sulla terra. Esseri poco evoluti che si sfamavano così, raccogliendo erbe e radici, come lui.
Vabbè, se erano sopravvissuti loro ce l’avrebbe fatta anche lui.
Mangiò e camminò e mangiò. Intanto si era tolto anche la sete grazie al succo acidulo dei frutti. Alzò la testa e si accorse di essere arrivato vicinissimo alla roccia.
Bella liscia, dritta e alta. Cavolo! Come l’avrebbe scalata? Non era uno scalatore e comunque non aveva attrezzi nemmeno per provarci, tipo scarpe, chiodi, corde, mazze…
Ah! Avere una bella scala a pioli!
Si ricordò di quelle fiabe dove il principe scala la torre e salva la principessa grazie alla treccia di capelli che lei cala dal balcone.
Ma qui non c’era castello né vedeva trecce penzolare.
Un po’ demoralizzato si sedette e raccolse erba, pareva edera, e cominciò a intrecciarla, così per gioco e intanto pensava e pensava.
Poi, quasi con dispetto, prese quel piccolo intreccio, lo appiccicò alla salda roccia e quasi cedeva al pianto.
“ Basta Piero, non fare il lagnoso e datti da fare. Una soluzione la si trova sempre!”
Così detto si rialzò deciso a cercare una fessura, un passaggio in quel muro che pareva fatto di marmo, liscio e levigato come era.
Cominciò a tastarlo, forse c’era un passaggio segreto. Succedeva nelle storie.
Macchè! Tutto liscio e di varchi segreti nemmeno l’ombra. Cominciò a cantare, tanto per sentire una voce. Come prima l’eco rispose solo che stavolta si accorse di un vuoto particolare. Era come se da qualche parte ci fosse uno spazio aperto, una fessura. Tornò sui suoi passi, sempre cantando e cercando di cogliere bene il suono di rimando.
Rimase stupefatto! L’erba che prima aveva spiaccicato sulla montagna, quella piccola treccia d’erba, era cresciuta. Mica tanto, no. Però saliva di qualche metro.
Assolutamente impossibile un fatto del genere. Come spiegarlo?
Piero non si perse in ragionamenti inutili. Qui, dove si trovava, era tutto strano, perché star lì a chiedersi come poteva crescere erba senza radici?
Bastava che crescesse no? Tuttavia Piero doveva capire cosa era successo per ripetere il fenomeno fino a che l’erba fosse cresciuta, alta e forte fino a sostenerlo e poi lui avrebbe scalato quell’ostacolo immenso.
Non sapendo nulla di nulla, tornò indietro, cercò le bacche che aveva mangiato, le trovò. Masticò a lungo, comunque gli facevano bene, si sentiva più forte, meno affamato. Poi tornò a intrecciare quell’erba che pareva edera, fece una treccia nuova, lavorando si accorse che gli colava qualche lacrima. Muoveva svelto le dita e ricordava, sempre più ricordava quello che era accaduto.
Era a scuola, ora di ricreazione. Giocavano tutti, chi a palla, chi a rincorrersi, chi sulle giostre. Poi il botto! Ora sì che sapeva. Era scoppiata una bomba, nel cortile della scuola. Gli sembrò di udire la sirena che lanciava l’allarme: tutti scappavano a quel suono, cercavano il rifugio antiaereo, vide il cielo oscurarsi, sentì in bocca strani sapori di polvere e sangue.
Piero seppe che era fuggito da quel mondo di guerra, era scappato via, lo aveva fortemente voluto, e ce l’aveva fatta.
Non voleva vivere tra bombe e macerie, tra morti e feriti, in pericolo sempre. Era fuggito. Solo che ora qui, in questo nuovo mondo, vuoto di abitanti, di vita, tutto era pace e silenzio, è vero ma lui non era contento. Come poteva lui stare bene lontano dalla famiglia, dal paese, dagli amici?
Capì che doveva e voleva tornare indietro. E che avrebbe lottato dentro al suo mondo per portare la pace nelle vie della città, nelle case.
Piero seppe che questa fuga era inutile: aveva senso salvarsi da soli e lasciare gli altri nelle difficoltà?
A quel punto, con forza, scagliò sul muro la treccia d’edera, la impiastricciò ben bene, bagnata come era del suo pianto e con tutta al forza del suo cuore, lanciò un urlo:
“ Voglio tornare! Insieme, la guerra la vinceremo insieme”.
Quasi senza sapere come e perché cominciò ad arrampicarsi su quella scala verde, strano! cresceva man mano che i suoi piedi salivano. Non si chiedeva come fosse possibile tutto questo.
Io stessa so che pare una favola impossibile quella che ti sto narrando ma così avvenne.
Piero salì, scalò quel muro di dura roccia, si arrampicò su una scala esile, verde, viva, che cresceva man mano che lui saliva.
Sentì in alto urlio di voci, richiami, il suo nome. Si ritrovò nel giardino della scuola.
Intorno la maestra e i compagni. Era tornato per portare la pace alla sua gente. Seppe che la guerra era finita. Per sempre.
Racconto premiato con segnalazione di merito al
XXV Edizione del Premio per la Pace e la Giustizia Sociale – 3 dicembre 2016