Il cantore della bellezza eterna

Avete visitato la Gipsoteca di Possagno?

Vi trovate i gessi delle sculture di Canova, ossia gli originali dei suoi capolavori, e molto di più.

Il paese da cui è partito, la casa natale, il brolo con le piante da lui messe a dimora, dipinti, e la Gipsoteca appunto.

Partito ragazzino, vi ritornò famoso e ricco.

Il nonno paterno, che lo crebbe perchè orfano di padre, vide in lui un potenziale artista, non un semplice scalpellino come era lui.

In quel territorio vi erano molti scalpellini, la ” piera” lì abbondava.

A quel tempo, pensate, Pasino Canova ipotecò la casa per mandare il nipote Antonio a Venezia a studiare.

Grande nonno!

E grandissimo il nipote che ripagò la fiducia del nonno in modo superlativo.

Per le sue opere egli partiva dall’argilla, roccia che abbonda a Possagno. Pensate che il 60% dei laterizi  venduti in Italia proviene da queste terre.

Antonio Canova creava con questa materia il modello che veniva poi ricoperto di gesso, incamiciato appunto.

Successiavmente l’argilla veniva tolta e si versava altro gesso nella cavità.

A quel punto era pronta l’opera in gesso, però doveva essere liberata della ” camicia”. Se veniva tolta con attenzione era possibile riunire le parti e sfruttare lo ” stampo” per ricreare un’altra opera identica.

Da qui infine partiva il lavoro nel marmo.

Antonio Canova era anche pittore, e difatti prima di operare con l’argilla disegnava e dipingeva ad olio l’immagine di ciò che voleva alla fine scolpire.

Era partito da Possagno molto giovane, con scarsa cultura, quasi analfabeta.

Imparò a leggere e a scrivere e  si arricchì di molte conoscenze in un modo specialissimo.

Mentre lavorava, l’Abate Foschi leggeva e rileggeva per lui opere di vario genere in italiano, latino, francese, greco.

Veniva pagato per questo e  quell’ascolto durante le ore lavorative diede grandi frutti.

Fu nominato Ministro della Cultura, il primo Ministro del Regno Italico e andò a Parigi a recuperare moltissime opere d’arte “rapinate” da Napoleone.

Antonio Canova lasciò al suo paese anche un tempio. Svetta maestoso e bianco contro i crinali dei monti. Un simbolo di bellezza, un segno tangibile del legame dell’artista per la sua terra.

Ci tornò poche volte, visse a lungo a Venezia e poi a Roma. Ma Possagno se lo portava nel cuore. E vi tornò per morirvi.

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