Le notti, specie quelle d’inverno, erano trascorse insieme nelle stalle: c’era caldo, la gente della corte si riuniva, si stava insieme sotto lo stesso lume, si risparmiava anche su quello.
Si stava in compagnia: chi offriva le castagne, chi il vino novello, chi la graspia, le mani di tutti si muovevano alacremente, maschi e femmine. Gli uni a riparare attrezzi, a inventare strumenti di lavoro; le donne a lavorare ai ferri, a rammendare, a cucire, a ricamare.
La bimba stava là con altri piccoli ad ascoltare “ i grandi”,le storie che narravano di “ anime e di spettri” che di notte giravano per le strade e le tremava il petto.
Ma era curiosa e se il discorso si interrompeva per la presenza di piccoli, lei attendeva con impazienza che riprendesse.
Salvo poi conservare dentro di sè un pezzo di quella paura, specie quando camminava sul tratto piano di strada, quello che correva sotto la collina del cimitero. Le pareva di vedere ombre fugaci correrle dietro, strusciarle vicino, la nebbia pareva il loro respiro. E allora accelerava il passo, si metteva a correre. Ma non avrebbe mai detto ad alcuno che anche a lei, di notte, prendeva la paura.
Lei era considerata la coraggiosa di casa. Se si doveva uscire al buio, lei prendeva la sorella maggiore per mano, guidava i passi esclamando: “ Ma che paura! Non c’è niente che fa paura!” e nel dirlo alla sorella la paura usciva da lei, si allontanava e davvero si sentiva coraggiosa.
Era la sfida che le dava coraggio: sfidava se stessa, i suoi limiti, si confrontava con quelli altrui e dal confronto nasceva la sua forza.
Laura seguiva i passi della bimba nella notte, ne coglieva il coraggio, costruito prima, poi fatto vero, coglieva il piglio forte, che nasceva da incertezze. Ma lei non si tirava indietro.
Soprattutto se “ i grandi” non credevano al suo coraggio. Allora lo sentiva crescere dentro di sé e diventava una leonessa.
Sorrise alla sua folta criniera scura e riccia. Prometteva bene la bimba.