Donna

La donna camminava tra i boschi. Era conosciuta lì nella Pedemontana.

La vedevano sbucare sui pascoli, a ridosso delle case, tra i sentieri che salivano al Grappa.

Era ancora giovane di aspetto eppure pareva senza età.

In tempi lontani avrebbe avuto la nomea di strega o di maga guaritrice.

Ora invece veniva commiserata e considerata un po’ fuori di testa.

Era rimasta sola, sopravvissuta ai genitori. E fin qui tutto normale.

Ai fratelli, ancora evento quasi normale.

Al marito e già così cominciò a traballare.

Ai suoi figli e le venne sradicata l’esistenza.

Vagava, senza orari, a chi importava se lei a mezzogiorno era in giro per boschi anziché seduta al tavolo da pranzo?

Se sul far della sera se ne stava in giro senza luci, senza telefono?

Tanto, chi si preoccupava dei suoi ritardi, dei mancati rientri?

Chi l’avrebbe pianta?

Qualcuno in paese aveva cercato, da solerte e affettuoso samaritano, di avvicinarla, era stata invitata in qualche famiglia in nome degli antichi legami di amicizia e di lontana parentela.

Lei ascoltava, guardava negli occhi l’interlocutore: occhi senza fondo parevano, senza limiti nello scrutare, tanto che a un certo punto cresceva un grande disagio in chi le parlava. Si sentiva rovistato dentro come mai neppure accadeva in confessionale, dallo psicologo o quando, riflettendo, incontrava sé stesso.

Nella non- risposta l’invito moriva; il contatto, anche semplice, di polso e di mano, era escluso.

Lei se ne stava ritta, in silenzio, nella sua mise sportiva elegante e trasandata nello stesso tempo.

L’intero paese si sentiva stranito, caricato da un peso. E impotente.

Le cronache raccontavano di persone vissute sole, trovate morte dopo settimane se non mesi e la gente non sopportava l’idea che un simile fatto potesse accadere tra di loro. Si sentivano una famiglia e se uno dei parenti aveva bisogno di qualcosa era dovere aiutarlo.

Il fatto è che Donna non si faceva aiutare, in nessun modo.

Qualche ricordo risaliva nella mente dei compaesani, lei aveva avuto un lavoro, si era sposata, una vita tranquilla e normale insomma, fino al fattaccio.

L’ultimo di una serie, quello che aveva suonato il gong finale per la sua sanità mentale.

L’auto coi tre figli si era schiantata, urtata da una utilitaria. Alla guida qualcuno in stato di ebbrezza, una svirgolata di volante ed erano volati nel canale, impossibile aprire le porte, erano rimasti intrappolati, annegati.

Da quel momento la sua casa era divenuta vuota di suoni, di voci, di sogni, di progetti.

Come vuota era la sua mente.

Così immaginava la gente che la vedeva sfilare a ore improbabili, su strade e sentieri, tra pascoli e boschi.

Si sbagliavano tutti.

Donna era viva più che mai, soltanto ora apparteneva a un altro mondo, altra sfera immateriale, là incontrava i suoi cari.

E si parlavano.

Non con la voce, col pensiero. Quando accadeva, Donna aveva il viso disteso e una sfumatura di sorriso. Raro coglierla in questi momenti di grande intimità, accadeva solo per caso, se fatalmente si era nella stessa radura, alla stessa ora e se lei non aveva colto le presenze estranee.

Succedeva anche in prossimità dei torrenti: nei suoi andirivieni irrequieti a volte si fermava, sedeva vicino all’acqua, lo sguardo vi si inabissava. Era talmente immobile che qualche uccello zampettava pian piano, in una danza titubante, fatta di passetti avanti dietro, fino a becchettarle le dita dei piedi.

Pareva fosse affacciata sulla via a rimirare la folla che passava. Erano i parenti: le labbra mormoravano silenziose qualche nome, qualche discorso comprensibile solo alla sua anima.

Per lei non esistevano stagioni, poteva essere estate o tempo di burrasca, i muri di casa le stavano stretti, usciva ore ed ore all’aperto.

Un giorno qualcuno si accorse che tornava con qualcosa tra le mani. Col tempo capirono. Tracce di vita bellica morta su quei monti.

I recuperanti avevano fatto piazza pulita sul Grappa di armi, elmetti, ordigni esplosi o inesplosi. Scavare e raccogliere era divenuto un lavoro per tanta gente messa alla fame dalla guerra. Lavoro rischioso, qualcuno ci aveva lasciato la pelle, ma i metalli erano risorse utili nelle fabbriche, significavano soldi. Non venivano certo raccolti come cimeli per fissare nel tempo la memoria.

Eppure Donna scovava ancora tracce di anni sanguinosi. Videro nel cortile incolto dietro la sua casa depositarsi, uno dopo l’altro, gli oggetti recuperati. Accanto ci metteva una croce.

Un cimitero di oggetti, un controsenso per il paese.

Non per Donna che aveva ascoltato la voce, sconosciuta come un milite ignoto: per Donna era un nome, un uomo, un ragazzo, cui dare meritato riposo e dignità.

Vivendo oltre le barriere dei sensi, lei ascoltava voci rimaste intrappolate tra carpini e noccioli, tra arbusti e aceri montani.

Incontrava volti, per il mondo senza nome. Lei su quelle croci scriveva un nome.

Una sera arrivò dalle boscose pendici al Tempio: come un Pantheon si apriva alla pianura. Brillava bianco nella luce estiva del tramonto, in basso una pigra e laboriosa vita si dipanava su strade sempre più ampie e intrecciate.

Nel silenzio, tra le grandi colonne, si sedette, sola come sempre e non sola.

Improvvise sorsero note, uscirono dal portone spalancato, musica aleggiava. Solo note e silenzio.

Nascosta dall’ampia colonna, ascoltava e vedeva: erano volti, erano nomi, erano anime. Lei sentiva la viva presenza, si sedettero a fianco.

Riconosceva sotto quel cielo, ora acceso da piccole stelle, gli autori di quelle note, ‘700 veneziano, e Antonio l’architetto.

Le narrava il perché di quel tempio. Lui sapeva, quando lo aveva ideato, che sarebbe stato segno e luogo di preghiera per tanto sangue sparso.

Bianco, immenso, anche da lontano sarebbe stato richiamo, ricordo, ammonimento, speranza.

Donna vedeva Antonio disegnare con parole di fuoco. E infine ritrovò la pace.

2 pensieri su “Donna

  1. DONNA
    Il dolore muto di una madre si sublima nel ricordo di volti scomparsi. Ieri, oggi, domani, anime senza tempo volteggiano.

    Molto toccante Silvana!

Dimmi cosa ne pensi, te ne sarei grata.

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