Iris era nata e cresciuta dentro il carcere. Per lei non era un luogo triste, era casa, dove viveva con mamma e tante zie – amiche.
Anzi, tante mamme. Era un po’ figlia di tutte loro.
Poteva passare da una stanza all’altra, per lei non erano celle, erano le camere dove vivevano Bianca, Tullia, Luisa…
Per Iris non era strano neppure che tutte indossassero lo stesso vestito color arancione o gli stessi calzoni grigi con maglietta bianca.
Non si poneva il problema del ritmo cadenzato dei campanelli, delle voci che risuonavano ad intervalli dall’altoparlante, dello stridìo di porte di ferro.
Per lei erano rumori familiari. I baci, gli abbracci, i sorrisi, le coccole da cui era circondata, le regalavano tutto il bene del mondo.
Per lunghi anni, dalla culla all’età bambina, ogni giorno mamma, le zie – amiche – mamme e lei uscivano all’aperto, sul prato rinchiuso da un alto muro.
C’erano vialetti di cemento ma anche aiole fiorite curate dalle loro mani.
Quanto correva Iris per quel giardinetto, rincorsa, scherzando, or dall’una or dall’altra!
Aveva imparato a costruire ghirlande di fiori che poi regalavano alla festeggiata di turno, a colei che sarebbe partita di lì a poco, per sempre.
A Iris poi mancavano queste presenze che si facevano d’improvviso assenze.
Nello stesso tempo però vedeva tanti sorrisi e applausi e gioia in quei momenti al punto da cancellare la nostalgia che sentiva crescerle dentro e cominciava a cantare a squarciagola.
Non aveva mai saputo cosa ci fosse al di là della casa e del muro di cinta del giardino.
E per molti anni neppure si era mai fatto domande in proposito.
Finché un giorno vide una farfalla entrare superando l’alta rete di filo spinato.
Gialla, grande, era la prima farfalla che Iris vedeva.
La seguì qua e là zigzagando tra i vialetti, cercando di avvicinarla per vederla meglio, senza riuscirci.
Finché la farfalla stessa non le andò incontro posandosi sulle sue labbra.
Cominciò a sussurrarle qualcosa.
…
Divennero ben presto amiche. Ogni giorno Iris attendeva con impazienza il momento della libera uscita. Una volta fuori, si allontanava dalla mamma e dalle zie – amiche per cercare la farfalla gialla.
Puntuale, essa appariva. Pareva fosse stata lì sopra qualche corolla nettarina ad aspettarla. Volava verso Iris, si posava sulle sue labbra e raccontava.
Di un mondo di fuori, senza muri, un mondo di prati e di boschi, di fiumi e di mari, un mondo con altri bambini, un mondo nuovo.
Ad ogni incontro Iris diveniva più curiosa e impaziente finché chiese alla farfalla di insegnarle a volare.
Il giorno dopo essa, posandosi sulle labbra della bimba, vi depose una spruzzata di nettare.
Così fece ad ogni incontro e intanto le insegnava a danzare.
Le mamme – amiche la guardavano ignare e ridenti nel vederla svolazzare felice, a braccia spalancate, tra i sentieri. Non s’erano accorte dell’amicizia tra La bimba e la farfalla né Iris confidò il suo segreto.
Incontro dopo incontro, la farfalla nutriva Iris che diveniva sempre più lieve e leggera, ormai spiccava salti che erano piccoli voli.
Finché venne il giorno in cui Iris prese veramente il volo, si alzò accompagnata dalla farfalla, sù sù, oltre il muro, oltre il filo spinato.
Verso l’azzurro.
Divenne una stella e cominciò a brillare, di giorno e di notte, in ogni stagione.
Gli occhi che, alzandosi al cielo la incontravano, si coloravano tutti di libertà.