Oggi in camminata verso Privà, su per la stradina erta che porta a San Bovo, Privà.
Primavera cantano il mondo, il cielo cobalto, il sole tepido, gli uccelli, i profumi della terra rimescolata dalle radici in movimento.
Ciuffi di primule gialle, piccole, ancora nascoste dal fogliame secco e dai ramoscelli caduti dagli alberi durante le burrasche di vento, hanno acceso il sottobosco.
E l’Elleboro verde col fiore che, aprendosi, si tinge di un verde via via più giallo.
Lontano, all’orizzonte ovest, brilla al sole il candido biancore del Pasubio e del Carega ammantati di neve.
La pianura, distesa sotto i miei occhi, brilla di tetti lamierati, soffocata da manufatti. Densa di abitazioni. Quassù arriva smorzato e rado il rumore lavorativo.
Più forte è il vento, che passa e soffia tra gli alberi del parco di questa casa vicina.
Lo sento avanzare, a ondate, compatto, fermo, deciso ad oltrepassare ogni fronda.
A non farsi fermare.
Nel caldo sole, rinfrescato da questi improvvisi forti refoli, alti, nel cielo azzurro, risuonano i trilli d’uccelli.
Meraviglia del creato, che tutto canta la gloria di Dio. La natura esiste limitandosi a vivere per gioire della vita.
A differenza dell’uomo che, una volta raggiunta la così detta “età della ragione”, non si limita a vivere nella gioia della vita ma si ammanta di ragionamenti, si fida solo di sè, mettendosi superbamente al posto di Dio.
Dimentica lo spirito gioioso e giocoso: abbindolato dalle voci del mondo e dalle sue lusignhe, ora cerca il possesso, il potere.
E l’uomo si perde, si sperde, muore.