Correva Vera, verso la montagna. Scappava dalla città inquietante che non riconosceva più.
Era una ragazzina, sola, fuggiva senza una direzione, sentiva soltanto che doveva andare verso l’alto.
La sua famiglia era sparita: improvvisamente, mamma, papà fratelli non c’erano più. Lei era rientrata dalla sua passeggiata quotidiana senza meta, aveva trovato la casa vuota.
Da sempre sentiva la necessità di andare a salutare gli alberi, in campagna o in collina, lungo il fiume o in montagna e sempre portava con sé qualche seme dei frutti che trovava e gustava.
Arrivata a casa li metteva al sole ad asciugare, poi li riponeva in una scatola.
“Non si sa mai” diceva ai genitori. ”Magari un giorno avrò un pezzo di terra tutto mio, vi pianterò tanti semi, io lo vedo questo mio angolo di terra, un giardino, un frutteto, un campo di grano”.
Era la figlia più stravagante della famiglia, era di animo sensibile e buono ma disobbediva alle regole. Forse era perfino la più generosa di tutti loro però era allergica alle norme che ogni giorno di più vincolavano la vita dei cittadini.
A scuola portava sempre le sue scoperte con allegria ma… l’insegnante non le prestava attenzione. Voleva fare la sua lezione, aveva già preparato gli argomenti da trattare con i ragazzi, bisognava seguire le direttive e non c’era spazio per altri temi, altre discussioni. Tutto era omologato… e verso il basso, la mediocrità, nessuno spazio per la creatività e l’inventiva personali.
Vera partecipava con entusiasmo, comunque, anche se le restavano dentro domande inespresse, curiosità da esplorare. Da qui nasceva il richiamo per le uscite pomeridiane. Correva, osservava, raccoglieva, parlava … sì sì, parlava con gli alberi, con gli esseri che incontrava, anche con i sassi.
Sentiva che erano tutti parte della stessa creazione, anche le pietre che apparivano inanimate. Erano lì adagiate sulla terra, sulla riva ma avevano una lunga storia alle spalle. Erano il risultato di mutamenti e metamorfosi ma l’origine era sempre organica, vita vissuta e morta e trasformata.
Creature come lei, create, donavano bellezza anche loro, varietà di panorami. Lei si accorgeva però che il mondo vivente si riduceva sempre più. Si era accorta di tante altre particolarità.
Non si sentiva più libera come nei suoi primi anni di vita. Ora pareva che un grande occhio la seguisse ovunque. Tutti sapevano tutto di lei e di ognuno. Era sparita la possibilità di avere una vita personale segreta.
Lei rifiutava ogni forma di strumento tecnologico a differenza dei suoi coetanei e per questo veniva quasi ghettizzata, messa da parte. Certo! I suoi interessi erano lontani mille miglia da quelli dei compagni, pur vivendo nello stesso luogo parlavano in realtà due lingue diverse.
In famiglia andava un pochino meglio, più o meno la pensavano tutti allo stesso modo e soprattutto si volevano bene. L’amore che legava genitori e figli superava ogni divergenza.
Tuttavia, in qualche modo, i genitori erano stati obbligati a scelte – non scelte per poter lavorare. Avevano pensato al bene dei ragazzi, si erano sacrificati, senza sapere che l’aver accettato le condizioni di lavoro imposte li aveva resi schiavi. Lo avevano compreso piano piano, man mano che si manifestavano le conseguenze.
Quando avevano finalmente compreso il diabolico progetto in cui erano caduti, avevano cercato in ogni modo di farlo conoscere ai figli. Di renderli consapevoli. Meglio fuggire, meglio lasciare ogni certezza, anche la casa, anche il lavoro. In fondo, l’uomo nei millenni era sopravvissuto a tante catastrofi. Anche loro avrebbero trovato una strada nuova per vivere liberi.
Vera si era lentamente abituata all’idea che forse avrebbe dovuto lasciare la famiglia e vivere sola. Solo che le costava troppo. Un conto era uscire di casa per libere escurisoni e poi tornare nella casa dove mamma aveva preparato la crostata, dove i fratelli stavano giocando – litigando, dove papà tornava dal lavoro e il suo primo gesto era l’abbraccio per ognuno di loro.
Un altro era decidere di allontanarsi per sempre. Per questo motivo rimandava di continuo il momento della decisione anche se leggeva, ogni giorno di più, un messaggio accorato negli occhi di mamma e papà. Avevano già detto tutte le parole possibili. Ora aspettavano soltanto che ogni figlio, come un uccellino pronto al volo, abbandonasse volontariamente la casa.
La vita si era tutta stranita. Parenti, amici, conoscenti sembravano allontanarsi sempre più, ciascuno avvolto nel proprio guscio difensivo.
I dialoghi erano brevi, impacciati, timorosi di affrontare argomenti scabrosi sui quali non avevano il coraggio di pronunciarsi, di esprimere un parere, tutti consapevoli che ogni gesto, ogni respiro era raccolto da strumenti raffinati e invisibili che li rendevano trasparenti agli occhi del mondo intero, in particolare di coloro che in quel momento gestivano la cosa pubblica. Non c’era angolo del pianeta davvero libero da interferenze. In questo senso anche l’espatrio era perfettamente inutile.
Ma venne il giorno in cui Vera entrò in casa e la trovò vuota, assente di ogni presenza familiare.
Le si gelò il cuore. Un campanello risuonò nella testa che si agitò come in una tempesta: paura, spaesamento, senso di vuoto, di vertigine per un attimo lungo un secolo la avvolsero tutta, toccarono ogni sua cellula, l’intero suo corpo entrò in uno stato di emergenza.
Comprese che ora toccava a lei fare il passo tanto suggerito e indicato da mamma e papà.
Veloce come una saetta, inconsapevole ma guidata da una luce rivelatrice e misteriosa, raccolse pochissime cose di pronto intervento. Senza scordare il bene più prezioso che possedeva: la scatola di sementi raccolta lungo gli anni.
E abbandonò la casa, senza nessuna forma di tecnologia addosso, così come aveva vissuto fino a quel momento. Mise le ali alle gambe muscolose e forti, abituate a scavalcare muretti, a inerpicarsi per boschi e sentieri. Sentì solo il richiamo delle alture, del silenzio, del mondo disabitato.
La gente ormai viveva ammassata nelle città come in alveari in continua agitazione. Ma Vera conosceva angoli deserti, li aveva esplorati nel suo girovagare.
Si fermò soltanto quando il fiato le venne meno e le gambe cedettero alla fatica. Aveva trovato un angolo remoto, per oggi poteva bastare, anche se sapeva che non era la sua meta. Glielo diceva una voce interiore che le parlava in continuazione, sostenendola e guidandola ad ogni passo. A volte aveva l’impressione che fosse la voce di mamma, altre quella di papà. Ma più spesso era una voce sconosciuta, pacata e forte pur nel suo silenzio. Vera sapeva di non essere del tutto sola.
Quella sera riposò nel bosco nel sacco a pelo. Il silenzio della notte le fu compagno e amico, la luna illuminava di pacata luce gli alberi intorno, quasi una capanna.
Si svegliò al canto dei primi uccelli, il sole filtrava dissolvendo l’umidità notturna.
Stette in ascolto a cogliere fruscii d’acqua e il mormorio leggero si fece sentire, la richiamò, lei aveva acuito i suoi sensi lungo le sue scorribande e aveva imparato a leggere i segnali che la Natura inviava.
Quasi fosse lei stessa un cerbiatto, una lepre, un fringuello canterino.
Si dissetò alle fresche acque, si rinfrescò il viso, cancellò l’ultimo velo di sonno dagli occhi. Estrasse un pezzo di pane, lo sbocconcellò con misura, concentrata a individuare la strada da imboccare.
Si lasciò guidare dall’istinto ossia da quella voce che la accompagnava dal giorno prima.
Camminò nelle fresche ore del mattino, inoltrandosi per vallette e sentieri ormai cancellati. Il silenzio era movimentato solo da battiti d’ala o canti, da fruscii di foglie, da brividi di vento tra le fronde. Nessuna traccia umana era visibile.
Se l’avesse notata Vera si sarebbe subito allontanata.
Arrivò ad una radura del tutto isolata, circondata da ogni lato dagli alberi.
E, fatto assai strano, al centro vide tracce di sassi, ciò che restava di un muretto, forse di una parete, forse di una casera.
Si avvicinò lentamente, percepiva l’assoluta assenza di tracce umane recenti. Capì che lì poteva sostare.
Fu così che Vera trovò il nuovo mondo. Lei stessa lo costruì giorno dopo giorno, impegnata a seminare sul terreno intorno ogni tipo di seme. Crebbe un giardino, si formò un frutteto. Oltre che bellezza e cibo, furono per lei lo schermo che la salvò da ogni ricerca e incursione.
La sua assenza era stata notata. Non più presente a scuola, la casa vuota, tutto questo mise in moto una ricerca ossessiva della ragazzina.
Nessun essere umano poteva sparire volontariamente, evadere i controlli, agire di propria volontà.
Se questo era successo con Vera, embè, bisognava prendere provvedimenti perché il fatto non si ripetesse. E lei sarebbe stata trovata e punita in modo esemplare. Una lezione al mondo intero.
La rete, in cui il pianeta intero era stato avvolto, non poteva essere bucata così facilmente e impunemente.
Sofisticati metodi di ricerca esplorarono ogni angolo della terra, millimetro per millimetro, di Vera però nessuna traccia.
Le piante, cui lei aveva dato vita, avevano creato una parete difensiva che nessuna tecnologia poteva abbattere.
Passarono gli anni. Un giorno arrivò sulla radura un ragazzo. Vera lo vide giungere ma già sapeva del suo arrivo. La voce che sempre la accompagnava le aveva da tempo mostrato la missione che doveva compiere sulla Terra.
Junior era il compagno, insieme avrebbero dato vita a una nuova Umanità.
Molto bello, scorrevole per la lettura e mi ha dato un pò di libertà dal mondo di cui oggi siamo schiavi. In più mia nipote si chiama Vera. Brava Silvana
Grazie Antonia. Sono molto contenta che le sia piaciuto il racconto, è davvero il sogno di un mondo nuovo.
E poi Vera, Vera è un nome che si presta alla rinascita. Mi ha ispirato questo nome. Un augurio a noi tutti. Che giunga davvero il momento del risveglio.