Oggi, per la prima volta, visito il Santuario della Madonna della Corona a Spiazzi, frazione di Caprino Veronese.
Pur essendo io stessa veronese di nascita, mi sono persa finora un angolo di paradiso.
Viaggio in autostrada, prima la A4, Vicenza – Milano, poi a Verona imbocco quella del Brennero. Sempre mi stupisco della varietà di paesaggi della mia terra: il Veneto.
Direi che ne riconosco le province anche senza le insegne stradali, semplicemente guardando il terreno. Non servono nemmeno i contorni geografici, tipo monti o pianure, che per forza di cose te le fanno riconoscere. No! A me basta vedere il colore del terreno, la sua consistenza, per capire se calcareo o basaltico o sabbioso. E di conseguenza intuire dove sono.
È per me un alfabeto specialissimo. Poi, certo, mi guidano la vegetazione, il tipo di culture ma anche, purtroppo, la cementificazione e la eccessiva urbanizzazione, soprattutto di tipo industriale.
Qualche chilometro sull’Autobrennero ed ecco, riconoscibile, l’atmosfera del lago di Garda. I vigneti ben curati e diffusi dicono che siamo nella pregiata terra del vino di Valpolicella, ma anche gli ulivi e i pini marittimi mi fanno respirare aria mediterranea.
Questi luoghi cantano al mio cuore in lingua madre. Mi fanno sentire a casa, campi leggermente movimentati, curati, una casa colonica, a volte signorile, ispirano pace, serenità, sembrano lontani anni – luce dalla frenesia del quotidiano, dalla violenza della guerra.
Il sole è con noi, l’aria ventosa mette in movimento pale eoliche, figure quasi aliene in questo paesaggio rurale.
A ovest intuisco la presenza mitigante del lago, a est i monti si innalzano veloci. Ci inerpichiamo in direzione Ferrara Monte Baldo. È il comune veronese meno popoloso e il secondo in Veneto con i suoi 252 abitanti.
Arriviamo a Spiazzi, piccola raccolta di case immerse nella natura, ai piedi del Monte Baldo, a pochi chilometri dal lago di Garda. Il Baldo è un massiccio montuoso delle Prealpi Gardesane, arriva fino a 2.218 metri di altezza, è in parte veronese e in parte trentino. Caprino Veronese è il suo confine meridionale che lo apre alla pianura veneta.
Oggi Spiazzi è molto frequentato, una gara di motocross colma di rombi antipatici un silenzio che odora di pace. Troviamo faticosamente una piccola area per parcheggiare e imbocchiamo a piedi il sentiero che scende al Santuario. Per questa prima visita abbiamo scelto la via più breve.
Quella storica parte da Brentino Belluno, 1264 gradini da percorrere con calma poichè il dislivello è piuttosto forte.
Lo storico “Sentiero dei Pellegrini” o sentiero della Speranza che dal fondo della Val d’Adige, in località Brentino, sale al Santuario della Madonna della Corona è uno degli itinerari più belli e frequentati del veronese, sia per gli aspetti paesaggistici e le valenze culturali e sia quale vera e propria Via Crucis di fede.
Il Venerdì Santo viene percorso in processione recitando il Rosario e trasportando una statua della Madonna Addolorata.
Se il Santuario è indubbiamente uno dei più suggestivi ed il più ardito d’Italia, il sentiero storico non è da meno e permette di raggiungere la Basilica nel modo migliore.
Da Brentino si sale la caratteristica scala selciata, poco dopo il sentiero s’inoltra nella boscaglia e più oltre si trova la croce di cemento che domina la valle e la prima stazione della Via Crucis. In questo primo tratto la vista sulla grande arteria dell’autostrada del Brennero e soprattutto i rumori delle auto e dei treni in transito sono leggermente fastidiosi.
Dopo alcuni tornanti il sentiero dirige decisamente verso l’interno del grande vajo e diventa via via più aereo e panoramico, con affascinanti visioni sui grandiosi paretoni rocciosi e l’orrido fondo della gola.
A metà percorso, quando uno scorcio permette di vedere alto il Santuario, la traccia aggredisce decisamente il verticale e repulsivo paretone del monte Cimo.
Sembra non vi siano passaggi praticabili. Ed invece un’arditissima scalinata, completamente scavata sulla roccia, incide il verticale paretone e sale a zig zag, cambiando direzione in una suggestiva grotta, e guadagna il ripidissimo terrazzo pensile dirimpettaio alla nicchia del Santuario.
Un ponte a due campate di pietra getta un passaggio sul burrone e si appoggia alla verticale parete sotto il Santuario che si raggiunge tramite una incredibile scalinata completamente scavata nella roccia. Il seicentesco ponte è chiamato ‘Ponte del Tiglio’ per il fatto che fino ad allora il passaggio si affrontava cavalcando un albero di tiglio cresciuto di traverso causa un grosso masso.
Quest’ultimo tratto, dove la scala nei pressi del ponte è sbarrata da un cancello ed un muro, è l’esposto percorso originario anche per i pellegrini provenienti dal soprastante paese di Spiazzi prima della costruzione, del 1922, della galleria che permette un facile accesso dal piazzale dove arrivano i bus-navetta.
Le mie gambe sono poco allenate, per questo scelgo la strada più corta. Volendo, c’è persino un bus navetta che porta direttamente al Santuario ma noi scendiamo i ripidi gradini. Un po’ di fatica scaccia comode abitudini, legami con la quotidianità terrena e terrestre, molto materiale. Basta scendere un po’ e i rumori delle moto da cross svaniscono, assorbiti dalle pareti rocciose, dagli alberi, dal fianco del monte.
Il sentiero ogni tanto incontra la strada asfaltata e una stazione della Via Crucis. Mi fermo per curiosità ma anche per un richiamo interiore che si fa via via più forte. Come se la stessa aria fosse intrisa, impastata di spiritualità.
Tutto incuriosisce, tutto affascina, tutto purifica.
Vedo due turiste sbucare dalla roccia. Attratta dalla stranezza, entro anch’io e mi trovo davanti al sepolcro: il Cristo steso, dimensioni naturali, fa una certa impressione, sembra davvero una persona non una statua. Il sepolcro è incuneato dentro il sasso, è buio, illuminato solo dalla flebile luce dell’ingresso, a sua volta oscurato dalla roccia. Siamo ormai vicini e possiamo intravedere l’ultimo tratto del sentiero dei Pellegrini, gente sale, questo pezzo di sentiero è interamente a gradini, anche alti, spaccano i quadricipiti ai non allenati.
Intravedo la gola stretta, la pianura lontanissima, il nastro dell’autostrada: tutto è silenzio.
Entriamo nella galleria e sbuchiamo finalmente sulla stretta terrazza che accede al Santuario. È impressionante vedere, sopra le teste, massi pesanti in parte incapsulati in forti reti d’acciaio. Penso che se decidessero di cadere nulla potrebbe fermarli e difatti nei secoli addietro c’è stata una rovinosa caduta di massi, ha fatto all’epoca due vittime, il rettore della Chiesa e un suo parente.
Questo luogo è sospeso tra cielo e terra, sospeso nello spazio ma anche nel tempo, una bolla a- temporale per me, un salto nel passato.
Il Santuario della Madonna della Corona, considerato una delle meraviglie nascoste d’Italia, è uno spettacolo senza tempo sulla Valle dell’Adige.
Incastonato tra cielo e terra nella roccia del Monte Baldo sta ad un’altitudine di 775 metri s.l.m. Secondo la storia questo particolarissimo luogo sacro era considerato, nel XV secolo, un romitaggio.
La prima chiesa venne edificata nel 1530 in onore del Vescovo Gian Matteo Giberti e solo nel 1625 venne chiamata Santuario, quando i Cavalieri di Malta la fecero riedificare.
Oggi il Santuario si estende su una superficie di 600 mq rispetto ai 200 mq precedenti, è larga 20 metri, lunga 30 metri, dispone di una cupola alta ben 18 metri ed ha raggiunto il suo massimo splendore in onore della visita di Papa Giovanni Paolo II che lo elevò a Basilica Minore.
Immagino gli eremiti che qui han scelto di vivere ben prima che fosse eretto il Santuario. D’altra parte, come fare per trovare la luce in sé stessi? Ci si ritira, nel deserto, nelle grotte, nel silenzio, si fa vuoto attorno alla persona per riuscire a fare il vuoto dentro di sé.
Solo liberandoci dalla folla delle immagini del mondo si può raggiungere un alto grado di visione interiore, come se gli occhi del corpo venissero sostituti da occhi “spirituali”.
C’è gente di ogni età, molte persone sono mature se non attempate, pochi giovani, qualche coppietta, zaino, scarponi, visi sorridenti e distesi, come se il salire, o lo scendere, avessero lavato rughe e preoccupazioni.
Incombe l’alta, svettante chiesa incastrata nel monte, si protende sul vuoto, tenendosi saldamente agganciata alla roccia che ne costituisce una intera parete.
Mancano ancora una manciata di gradini, quelli che costituiscono la Scala Santa, ripida anch’essa. Una volta veniva percorsa tutta in ginocchio, in segno di penitenza. Sembrano pochi ma sono gli ultimi di un lungo percorso e pesano. Forse, oltre la fatica fisica, pesa anche qualcosa che sta dentro il cuore.
Provo anch’io ad inginocchiarmi. Fatti due scalini, mi rialzo subito. Il sasso è irregolare, duro, fa male, e poi non è agevole per nulla alzare il ginocchio da inginocchiata, il piede mi si incastra nello scalino sottostante.
Mi muovo al rallentatore, è un vedere che mi assorbe completamente. Vedo con gli occhi, col cuore, con la mente, con ogni fibra del mio essere. Tutto emoziona e tocca, mi sento sciogliere. Qui ti converti senza volerlo perché è palpabile una presenza divina, il cielo è qui, l’amore è qui, dentro questi sassi, in questo luogo scavato e vissuto da secoli, colmo delle mille preghiere silenziose mormorate nel tempo da migliaia di pellegrini. Capisci che siamo fatti per la pace, che la guerra è un non senso, che l’umanità tradisce sé stessa quando passa alla violenza. Qui le logiche umane si infrangono contro la durezza del sasso e la tenerezza dell’infinito.
Visito ogni angolo, fuori e dentro il Santuario, l’animo colmo di tanto, di tutto, gratitudine sale dal mio essere per trovarmi qui, oggi, in modo del tutto inatteso. Sento che mi ha atteso da molti anni, mi ha chiamato da sempre, ma io non ne ho mai colto la voce.
Oggi so che ci ritornerò e che salirò il Sentiero della Speranza, quei 1264 gradini anche se duro. Per me. Ma lo percorrerò. Se una discesa di 20 minuti mi ha provocato questa profonda metamorfosi interiore, se mi ha spalancato il cuore a un altro cielo, quel sentiero mi aspetta per completare il lavoro di trasformazione.