La leggenda del calicantus

Camminava, Elisa, nella notte gelida, la neve fioccava e lei si era perduta tra boschi e sentieri.

Quel giorno era uscita al richiamo di voci nuove, le sentiva echeggiare di valle in valle, di parete in parete.

Aveva indossato il giubbotto e le scarpe foderate di pelliccia. Era inverno. Lo diceva il sole che scendeva troppo presto dietro il monte Antelao, la neve che ricopriva strade e cespugli, anche le resistenti rose invernali, boccioli rossi spiccanti tra le spine, la recinzione divelta dell’orto da caprioli affamati, le piccole orme dei vivaci passerotti sul davanzale.

Elisa la Viva, così la chiamavano a scuola, così era nota in paese, riccia e sorridente, sempre pronta alle capriole, in corsa su prati e declivi.

Tutto era stupore per lei, tutto meraviglia. La natura non finiva mai di accendere in lei curiosità e passione. tutto per lei era meraki.

Non aveva avvertito nessuno, tanto mamma e papà sapevano che lei si aggirava nei paraggi conosciuti come le sue tasche, che sarebbe tornata prima che il buio coprisse con il suo mantello nero il cortile di casa.      

Stavolta però era successo un fatto strano che le aveva completamente stravolto il senso del tempo.

Voleva raggiungere le voci, sapere da dove provenivano, erano leggerissime, parevano voci di bambini, quasi un coro. Imboccava un sentiero, le pareva che provenissero da lì, lo percorreva e quando pensava di essere arrivata… ecco che sparivano.

Poco dopo risuonavano nella direzione opposta e allora ecco Elisa sfrecciare con la rossa sciarpa svolazzante dietro di lei.

Le voci erano ovunque e da nessuna parte: non riusciva davvero a individuarne la sorgente.

Di balzo in balzo esplorò tutto il paese, poi titubante ma decisa allungò il passo, esplorò anche il paese vicino, e ancora un altro, un altro, un altro.

Improvviso calò il buio e con la notte nell’aria cominciò a sfarfalleggiare la neve. Elisa si rese conto solo allora di essere molto lontana da casa e soprattutto sola.

Anche le voci erano sparite, nessun’eco più rimbalzava, era improvvisamente disorientata, qui nè bussola nè carta topografica avrebbero potuto aiutarla.

Si arrestò per riflettere, non era spaventata, non ancora almeno. Allertò tutti i suoi sensi. Come avrebbe potuto orientarsi nel buio?

Raccolse una traccia di profumo odoroso, nuovo alle sue narici, la solleticava sempre più fortemente. Era un’esperta di botanica, conosceva uno ad uno i fiori della sua terra, i colori, gli odori di cespugli e foglie e frutti. Ma questo profumo era dolcissimo, aveva la soavità delle voci che aveva inseguito fino a quel momento senza successo.

Si mosse lenta e furtiva, in allerta come gli animali del bosco, annusava, l’aria era immobile, la scia di profumo pareva certa.

Avanzò a tentoni, sempre fiutando, tra sé e sé rideva, le pareva di essere il capriolo che era venuto dietro casa il giorno prima a mangiarsi le patate dell’orto.

Sbucò in una radura illuminata da una strana luce, scendeva come una cascata dal cielo, pareva le piovesse addosso. Il profumo era più intenso che mai.

Un’aria misteriosa la avvolgeva, sentì echeggiare il suo nome, prima lontano, poi sempre più vicino. Il paese intero la stava cercando, era la beniamina di tutti, non potevano fare a meno di lei, del suo sorriso, della sua selvatica simpatia.

Elisa spiccò un balzo, come un fiume corse verso le voci, era la risposta al richiamo. La cascata di luce la inseguiva, pareva un faro nella notte. I paesani la videro sfolgorare sopra le loro teste, le lanterne e le torce non servivano più, tutto era illuminato a giorno. E tacquero travolti dalla luce e da un intenso profumo.

Si arrestarono improvvisamente davanti a una malga, quattro muri abbandonati, ora avvolti da cespugli dorati, miriadi di stelle profumate, quasi drappi damascati, brillavano nella notte. Elisa stava lì, accovacciata, assorta a guardare…la cascata di luce stava come sospesa… in processione lenta avanzava la gente… vedeva… una mamma, un babbo, un bambino. Si accese improvviso il canto… e quei fiori,,, le stelle d’inverno lì accese, per tutti divennero il calicantus.

Ogni persona si avvicinò, le mani erano vuote, non avevano doni da offrire a quel bimbo. Erano capitati in quel luogo per caso. Eppure, ognuno trovò chi un berretto, chi un pane, chi una giubba, un plaid, una luce, da lasciare tra quei muri.

Sorrisero il padre e la madre, in silenzio additarono i fiori, le stelle che profumavano.

Un invito a raccogliere un seme prezioso da propagare. Il paese intero accolse l’invito, raccolto il seme, offerto, sparso, messo a dimora nell’orto, curato fino a farlo fiorire.

Fu così che ogni anno, da quel giorno, il calicantus, le stelle d’inverno, fiorirono un po’ ovunque seminando luce nel freddo inverno.

Dimmi cosa ne pensi, te ne sarei grata.

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