I due ponti

Regina e Frida vagavano libere in quella fetta di mondo in cui si erano ritirati a vivere i genitori. Durante i loro vagabondaggi, si trovarono un giorno affacciate al bordo di una vallata stretta e profonda, là sotto splendeva turchese l’acqua di un lago. Certo non potevano scavalcare l’abisso con i soliti salti. Qui serviva qualcosa di speciale ma non avevano nulla a disposizione se non le loro mani.

Il buon senso consigliava di tornare sui propri passi, l’istinto le spingeva a continuare l’avventura.

Improvvisamente si materializzarono davanti ai loro occhi due ponti, diversissimi.

Lanciati da un lato all’altro della vallata, a una altezza da capogiro, invitavano le due ragazze a non arrendersi, a non mollare. Regina e Frida si guardarono negli occhi e “proseguiremo” dissero all’unisono.

Ma qui sorse una domanda cruciale:” Quale ponte scegliere?”

Uno era in realtà una strettissima passerella, un ponte tibetano di rami di glicine intrecciati, pendevano infatti qua e là lunghi grappoli lilla, profumati. Era leggero, oscillava al minimo soffio di vento, si confondeva col verde d’intorno.

L’altro era grande, quasi un’autostrada, con campate alte e solide in ferro e cemento. Stile ponte di Brooklin. A capo del ponte stava un uomo ben curato, berretto e divisa da autista, accanto a lui brillava una rossa spider decapottabile. Vedendo le ragazze, egli si inchinò, mise una mano sul cuore, con l’altra aprì la portiera.  “È tutta per voi” pareva dicesse.

Frida e Regina tornarono a guardare il ponte tibetano. Non c’erano custodi – autisti ad attendere il loro arrivo, stava lì lanciato nel vuoto nella sua esile bellezza.

La tentazione era forte. Avrebbero potuto in pochi minuti superare il baratro, arrivare sull’altro lato della valle, senza fatica, anzi godendosi la brezza fra i capelli.

L’entusiasmo che stava crescendo nei loro cuori frenò improvvisamente. Per uno sguardo.

L’autista nei brillanti colori rosso e oro le guardava con occhi che nulla avevano di umano, parevano cavità riempite di freddo vetro.

Le ragazze erano ora attraversate da un brivido, gli occhi che le stavano scrutando, attendendo sorridenti, non erano umani, erano occhi di automa.

Scattarono insieme, con un balzo si allontanarono prima che il manichino potesse reagire bloccandole con chissà quale artificio.

Lanciando un ultimo sguardo al ponte di Brooklin, mossero il primo passo nel vuoto sostenute da un ponte fluttuante. Erano certe di aver fatto la scelta giusta anche se un piccolo dubbio le attraversò. Ma era così piccolo che non mutò la loro decisione.

Sapevano di aver fatto la scelta più difficile ma anche quella giusta.

Stavano giusto muovendo il terzo passo quando un rumore ruppe il silenzio. Era simile allo scricchiolio di una vetrata che va in pezzi . Diressero lo sguardo verso la sorgente del frastuono nell’istante in cui il ponte di Brooklin si frantumava dissolvendosi nel vuoto con l’autista e la spider.

Il ponte tibetano oscillava piano accompagnando i loro passi. Frida e Regina si inoltrarono leggere nel verde. Il dado era tratto.

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