RECENSIONI DI LETTORI
Dopo di IL PASSO E L’ORMA Silvana Dal Cero fa il bis. Ma silvana non si ripete! Con I GIORNI E L’OMBRA l’unica cosa che in Silvana Dal Cero si ripete e’la sensibilitá per la poesia pura, semplice, diretta, e l’immediata capacitá di trasmettere sentimenti cosí sublimi da farti alzare un poco da terra per farti toccare il cielo con un dito! Ed é subito poesia! Brava Silvana!
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PREFAZIONE DI Gian Domenico Mazzocato
QUEL VORTICE
CHE PERDE E TROVA
Ecco il cuor mio nella selvaggia ebbrezza
di svincolare in esseri le forme
disincantate a vortice di danza.
(Arturo Onofri, Terrestrità del sole, 1927)
Se la parola si fa preghiera. E quando. E come.
Il meccanismo è misterioso la sua buona parte, esige l’esame di filtri morali e categorie di giudizio, implica la ricostruzione di una storia personale che, come nel caso di Silvana Dal Cero, parte da lontano e matura lentamente. E però esibisce anche qualche accelerazione momentanea.
E tuttavia l’analisi resta sempre insufficiente perché non rende compiuta ragione dello sforzo di creare un ponte verso il metafisico, lanciare una passerella dentro il grande enigma che circonda l’uomo. L’enigma che allude alle motivazioni che ne giustificano il passaggio terreno e talora tenta di spiegarle.
Il varco, il varco insomma (ben lontano e diverso, va da sé, dal varco che si apre nella montaliana casa dei doganieri). O l’intuizione, se si vuole.
Perché sempre attorno a quel nucleo denso si gira: la difficoltà a capire se nella storia vi sia un senso, una direzione, una regia. Riconoscere il grande regista o accettare di essere brutalmente sbattuti dal caos.
Dal Cero ha scelto una via che pare ampia e invece nasconde curve, insidie. E perfino agguati. Serve un poderoso filo di Arianna, che resista agli strattoni, che non si sfilacci a qualche spigolo. Già nei primi versi, la poesia nutrita da immagini bibliche. Il lievito che dà senso all’impasto, l’anima che si fa vaso vuoto e ricettivo, l’argilla da plasmare, la goccia che segue e precede -in interminabile catena- un’altra goccia.
E tuttavia serve lo scatto, il colpo di reni per realizzare l’acme di un incontro cercato e voluto.
Scriveva Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo luterano processato e giustiziato dai nazisti nel 1945, che le due forme nelle quali si presenta il Regno di Dio in terra sono il miracolo e l’ordine, le due forme nelle quali esso si scinde. Il miracolo come la forza che infrange ogni ordine e l’ordine come conservazione in vista del miracolo.
Respiro quest’aria nella poesia di Dal Cero che si macera nel dolore e nel momento alto della sofferenza.
La sa superare in una visione superiore e ampia dell’esistere in cui ogni cosa e ogni evento hanno peso e significato. Se ce ne sfugge il disegno complessivo è per la fallibilità dei nostri sensi e per l’insufficienza degli strumenti intellettuali.
Allora la parola/preghiera diventa espressione di quella cosa che il catechismo e la teologia chiamano fede. E che noi preferiamo definire come una conoscenza superiore in cui il conosciuto (?) è mare immenso e il conoscente è vaso troppo piccolo per contenerlo.
E nonostante questo, in qualche modo misterioso, contiene. Tracima, sciaborda, ma riesce a contenere e trattenere. Situazione difficile, quasi impossibile, precariamente e solo a tratti in equilibrio. Perché, sempre mutuando l’icastico linguaggio di Dietrich Bonhoeffer, nemmeno i solchi più profondi della terra ci rivelano il Dio nascosto.
Dunque, molto semplicemente, una condizione di ricerca. Implica profonda tensione intellettuale, sensibilità, senso dell’apertura. Dal Cero modula la tensione secondo stilemi che ormai caratterizzano da tempo la sua poetica: la luce (con collaudati dualismi: mattino/sole, notte/nebbia), il sentiero tortuoso, l’acqua/linfa che scorre nelle vene e irrora il corpo, la consapevolezza acuta del confine (si riafferma il bisogno di individuare il varco), il mare immagine di una storia (personale ma anche universale) cangevole e inafferrabile.
C’è una lirica in cui l’immagine del mare si itera e si moltiplica. Prende la cadenza da filastrocca delle litanie, si scioglie in immagini appartenenti ad un unico (ma vastissimo) insieme: tempesta, lago, onda, scia, arcobaleno. Subito dopo la poesia si consegna, fidente, al signore della storia. “Insegnami” gli suggerisce (o comanda).
Nonostante tutto “insegnami”. Anche “se il passo cede”, anche se “rallento il tempo”, anche “se non vedo / anche se voci / mi sussurrano di tornare”.
E “sollevami”: “Non ho più forma / Solo ombra sono / Stesa sulla strada / Incollata / Calpestata”.
Lirica chiave, questa, perché sa farsi supplica. Il nulla in presenza di chi possiede forza e lungimiranza.
In questa condizione di ombra, in questo sentirsi in balia degli eventi, si coglie l’essenza della poesia di Silvana Dal Cero. La sua ansia vitale. È una sorta di ossimoro (con tutta la carica di provocazione che gli ossimori, in quanto paradossi, possiedono) : una inconsistenza che è materia, una leggerezza che è peso, una monodimensionalità che è profondità e spessore, altezza e tempo.
Con una apertura /soluzione che si percepisce sul piano della cristiana speranza. L’ultima lirica: “Vortice luminoso e oscuro. / Vago / Cerco spazi di vita / Oltre la coltre e il cielo / Di questa terra”.
Un po’ tutto, con felice sintesi.
Il senso del limite, il superamento, il vortice che toglie punti di riferimento, l’andare vagando.
Alla ricerca di spazi vitali. Il vortice che poi finisce per indicare, nello straniamento, la via.
Gian Domenico Mazzocato
Treviso, febbraio 2014
NOTA RECENSIVA di LUCIANO NANNI – AGOSTO 2014
La seconda parte della raccolta (Frammenti d’onda) è composte di liriche di grande
varietà formale, in cui la religiosità della parte I si fonde a concetti profondi: “Pensiero |
mano creatrice | oltrepassa l’esistente | affonda nel non-è | e forma” (datata giovedì 12
aprile 2012). Se lo spirito domina – mens agitat molem – quando il corpo si frantuma
“tanto più la materia | si fa armonia” (p. 51). L’autrice possiede una notevole capacità di
sintesi: “Sull’orlo dell’impossibile | sto” (p. 55) — un distico che con pochi vocaboli apre
infinite riflessioni e interpretazioni: la parola infatti contiene inaspettate potenzialità. La
prima parte è di chiaro significato religioso: “Hai uno strano modo | Dio | di rivelarti |
all’anima che non ti cerca” (p. 16), ed è il modo riportato in Isaia: “Le mie vie non sono le
vostre”. Una ragione ultima che si identifica con la luce increata.
NOTA RECENSIVA di MARINA LEGA – SETTEMBRE 2014
Il fascino vincente delle poesie di Silvana Dal Cero risiede in primo luogo nella scrittura che le plasma e in quella incantata freschezza di linguaggio che rinnova nel miracolo ogni volta la trasparenza aurea delle cose antiche della vita e del mondo che si tramandano rinnovandosi di generazione in generazione, nello spazio di una religiosità profonda.
Chi meglio di un poeta può farsi interprete di tale cristallina leggerezza? A maggior ragione dentro lo spazio sottile della spiritualità. La fervida immaginazione, la gentilezza e la sorridente carica vitale, tra pensiero e realtà, fa levitare appunto I giorni e l’ombra (Biblioteca dei Leoni, con una incisiva prefazione di Gian Domenico Mazzocato), ma per concentrasi e non per distrarsi o, paradossalmente, per trovare la vera concentrazione attraverso quello sguardo apparentemente distratto del frammento che evita l’abbaglio dell’evidenza arrivando all’essenza più autentica.
NOTA RECENSIVA di ETTORE FINI – NOVEMBRE 2014
Segnalo agli ascoltatori le poesie di Silvana Dal Cero, meritevoli dell’attenzione più generale per l’intensità spirituale e per la freschezza di linguaggio che realizza, come è stato detto dalla critica, la trasparenza aurea delle cose antiche della vita e del mondo, che si tramandano rinnovandosi di generazione in generazione, nello spazio di una religiosità profonda.
Con una puntuale e attenta prefazione Gian Domenico Mazzocato presenta questa raccolta I giorni e l’ombra (Biblioteca dei Leoni), spiegandone modalità e sviluppo e collocandone l’approdo attuale nella più ampia produzione dell’autrice, giunta nel pieno della sua maturità umana e poetica.
RECENSIONE DI MARISA CECCHETTI – 11 marzo 2015
A lettura finita rimane l’impressione di una luce che attraversa le pagine della raccolta I giorni e l’ombra di Silvana Dal Cero.
Se intorno c’è dolore, la luce divina dà la forza di sopportare: “Esplode il cuore/volano cocci/al tocco della tua luce/che si fa strada/ nella pietraia/che mi avvolge”. Lui, infatti, la fonte di questa luce, è una presenza che non abbandona, che si fa trovare, che ci aspetta sul nostro cammino, pronta ad apparire e rispondere anche all’anima che non l’ha mai cercata: “di fronte alla resa/ di chi vede/e riconosce/il proprio niente/tu appari/e rispondi”.
Una presenza amorevole che ci porta fuori dal “nullabuio”: “compressa dal nullabuio/mi hai spalancato alla luce”. C’è una tensione costante, un desiderio di quella solarità suprema, sciolti i legami con la materia: “Non zavorra Signore ai miei piedi/ma ali/che io possa strappare i legami/con questa troppo umana terra”. Non c’è rimpianto per i giorni terreni che cadono pesanti uno dietro l’altro, bensì un desiderio di raggiungere la leggerezza e l’amore che tutto comprende: “Là dove le miserie/non toccano corpi e anime/.
Là dove è solo amore”. Non c’è paura, perché Lui è un Dio buono, è puro pensiero, Se la prima sezione della raccolta ha un registro e un ritmo che talora ci fanno pensare alla poesia religiosa medioevale o al ritmo delle laudi di chiesa: “Mare delle possibilità/mare di salvezza/mare per nuovi lidi/mare delle tempeste/mare della tranquillità/mare del dolore/mare dell’affido/mare dell’oblio/mare delle certezze/mare delle tue braccia/mio infinito Dio e Signore”, la seconda parte, Frammenti d’onda, si sofferma sul ritorno all’energia dalla quale tutto è partito: “onde noi/partite dalla riva/un giorno/onde che ritornano/ alla riva”.
E ancora: “Quanti di luce/diverremo./Flusso di vita”. Tutto è suggellato dal ricordo del big bang, con la potenza del pensiero superiore che lo ha voluto: “Un buco di luce/era il tutto./Poi un suono/tradusse/immagini in forme/era il mondo”.
A conferma e commento mi ritorna Vito Mancuso che, nel suo libro, Il principio passione (Garzanti 2013), in nota riporta una affermazione di Max Planck, il padre della teoria dei quanti: “Dal momento, però, che in tutto il mondo fisico non esiste né una forza intelligente né una forza eterna…noi dobbiamo assumere dietro questa forza uno spirito cosciente intelligente. Questo spirito è il fondamento di tutte le cose materiali”.
“Non lasciare Signore/ che l’ombra pesi/ più della luce”: così si apre una poesia della silloge di Silvana Dal Cero, che esprime bene il contrasto esistenziale tra oscurità e illuminazione, materia e incorporeità; tutti gli ossimori che permeano la nostra coscienza, e le nostre percezioni più intime.
Nella poetica dell’autrice, sono proprio la luce e l’ombra a dar forma, senso e vita alle cose, in un continuo scambio di significati che sono generati da questo continuo, incessante confronto.
L’ombra è buia, fragile, vana; eppure, scaturisce dalla presenza di luce, e ad essa è intimamente legata, diventando insieme una componente indissolubile dei giorni umani, di cui accompagnare e condividere il destino.
Entrambe parlano a Dio, per cercare la sua presenza (le sue tracce “invisibili”) e catturare la rivelazione, per fa risuonare “alte armonie” nell’abbandono estatico e mistico della propria fede.
“Quando si spezzerà il vetro/ vetro che deforma e obnubila / la realtà vera ,/ allora capiremo. / Il vero non è di questo mondo”: eppure, la verità rivelata c’è, ed è quella offerta dalla ricerca di un motore universale e benefico in cui cercare accoglienza, e liberarsi dal frastuono delle paure.
Questa grazia è possibile, ed è offerta agli uomini, siano essi nella luce o nell’ombra, poiché “l’umanità caduta / brama / di tornare alla sua fonte”, allo stesso modo di “onde che ritornano/ alla riva”.
L’ombra scava nel dubbio e da senso alla luce, allo stesso modo in cui le parole esprimono il senso e la necessità del foglio bianco su cui sono vergate; la vita si “lascia scrivere” nella raffinata lirica di Silvana Dal Cero, che con versi brevi e intensi fa propria l’urgenza di un dialogo che da intimo diventa universale, e che si muove ai confini di una coscienza immaginifica e profonda, quel “vortice” che è insieme “luminoso e oscuro”.
“Quel vortice che perde e trova”: questo il titolo, emblematico, della prefazione allo spirituale libro di poesie di Silvana Dal Cero. Un’introduzione, quella ad opera di Gian Domenico Mazzoccato, che illustra in modo lampante l’essenza di una scrittura che diventa perenne ricerca del Divino e dei suoi tramiti. L’autrice veneta sceglie infatti la strada della pietà, intesa come qui passione letteraria oltre che intima, per l’autore del Creato, cui sono dedicate frequenti ed accorate apostrofi di speranza (“raccoglimi / come perla trovata / tra i rifiuti”; “ch’io mi senta amata!”; “sollevami su una scia / di luce arcobaleno”). Esiste, in tutta l’opera, un’accorata ricerca di luce in un mondo di pietre e di ombra, un anelito, un desiderio di risarcimento dal dolore di un “nullabuio” nel quale l’uomo vive compresso, schiacciato dal peso del vivere. C’è una coscienza quasi ermetica data al senso della parola, che, in particolare nella seconda sezione del libro (Frammenti d’ombra), si impossessa del verso, creando spazi che mirano ad essere colmati.
Attraverso uno stile disseminato di litanie, nel quale ogni salmo è ascesi celeste, la Dal Cero tenta di guidarci attraverso la rimozione di quelle pietraie sulle quali la strada dell’uomo si smarrisce. Scrive la scrittrice dalla cappella di un ospedale: “Esplode il cuore / volano cocci / al tocco della tua luce / che si fa strada / nella pietraia / che mi avvolge”.
L’aridità del mondo non è mai sentita come un traguardo inevitabile, ma diventa metafora di un passaggio, in cui “l’uomo è come un soffio / i suoi giorni come ombra che passa”.
L’accoglienza della salvezza è sempre presente nel segno di una certezza: “il vero non è di questo mondo”. Dunque l’attesa, l’apertura in un universo nebbioso nel quale è possibile la rivelazione finale, è l’unico approdo possibile. E a questo approdo la Dal Cero giunge con estrema trasparenza, con un linguaggio a tratti biblico ma mai enigmatico, quasi che per creare ponti percorribili da tutti fosse necessario puntare proprio sulla semplicità.
Il risultato è una lettura in cui la preghiera diventa conforto, in tutta la sua luminosità.