Reitia e i cacciatori di sogni

Reitia doveva allontanrsi veloce da quel mondo che la imprigionava.

Ovunque andasse, in modo diverso eppure sempre ambiguo e tentacolare, c’era qualcuno che le metteva addosso un filo. Lei lo sentiva pesare su di sé, pareva seta leggera ma le imbrigliava il passo e soprattutto il pensiero.

Viveva in città, la conosceva da lunga data e tuttavia di giorno in giorno incontrava volti noti ora irriconoscibili, passi spenti, corpi accasciati avvolti in isole di desolazione. Mancava il sorriso. Cresceva il silenzio da mutismo. Si spegnavano i saluti. Le braccia non più tese ad accogliere in un caloroso abbraccio ricadevano molli lungo i fianchi.

Reitia si rendeva conto che rimanere in città sarebbe stato per lei morire. Spegnersi. Annullarsi. Perdere sé stessa, i suoi ricordi, la sua identità. Il cuore si sarebbe svuotato di sogni e progett. Perso il verde speranza, si sarebbe coperta di grigio antracite, color del pc, del cellulare. Sarebbe divenuta lei stessa un pezzo tecnologico senz’anima.

Si svegliò un mattino con l’amaro in bocca e la sensazione che qualcuno nella notte l’aveva cercata, mentre dormiva, tentando di entrare nella sua mente per catturare i suoi sogni.

Scelse una comoda tuta e uno zainetto con piccole provviste, uscì frettolosa prima che l’alba mettesse in moto gli automi che pullulavano in città in numero crescente.

Doveva sparire. Scelse la via della montagna. C’era un eremo poco lontano, San Bovo. Nessuno più ricordava dove fosse, cosa fosse. Il sentiero che vi conduceva era irto di spine e rovi, intricata ramaglia che ora per lei era robusto schermo di difesa.

Camminava veloce e nervosa mentre scorrevano nella sua mente immagini colorate: uccelli catturati, lilla e azzurri, appesi vivi a testa all’ingiù lungo ringhiere metalliche di una gabbia sempre più ampia e morta.

Lei sapeva: erano i suoi sogni, quelli che i cacciatori della notte le avevano rubato scandagliando la sua mente mentre vagava nel mondo del possibile.

Gli uccisori di sogni agivano nel silenzio e nell’ombra per catturare e sopprimere ogni libero pensiero poiché erano una minaccia al mondo tecnologico che diffondeva i suoi tentacoli in giri sempre più ampi, appropriandosi di ogni luogo e soprattutto di ogni essere.

Nella nuova realtà il libero pensiero era un virus intollerabile da sterminare alla radice. Costasse pure la morte di colui che veniva derubato.

Ma Reitia era viva e ricordava.

I suoi sogni, catturati e trasformati in uccelli colorati, erano prigionieri ma ancora vivi: lei doveva riprenderli, per sé e per quanti, come lei, resistevano a ogni forma di intelligenza artificiale.

Il passo affondava nel fango del sottobosco, i castagni coprivano i suoi movimenti come scudi, ombrelli di salvezza che bloccavano ogni radiazione che potesse individuare la sua posizione, i suoi movimenti.

Nessun rilevatore, per quanto tecnologicamente avanzato, poteva competere con le piante e i boschi: bloccavano ogni forma di radiazione esterna e chi vi entrava poteva stare certo di risultare invisibile al mondo esterno.

Raggiunse la radura dove ancora resisteva un cerchio di sassi, proprio davanti all’eremo. Era molto antico, i suoi sassi color oro diffondevano intorno luce. Tutto sembrava aspettare il suo arrivo.  

Entrò nel cerchio e si accoccolò guardando a est.

Doveva raccogliere il primo raggio del sole nascente lasciando che le immagini degli uccelli lilla e azzurri le riempissero la mente. La luce era la spada della vita, avrebbe tagliato ogni legaccio, distrutto la rete che ingabbiava persone, pensieri e sogni.

Reitia sapeva di essere in quel luogo non solo per sé stessa. Era lì per l’umanità. Rimase in ginocchio a fissare l’est: la pianura lontana diveniva pian piano visibile, l’aurora aveva acceso l’orizzonte.

E lei catturò il primo raggio, le entrò negli occhi come lama accecante, sentì accendersi la battaglia tra la luce e l’ombra. Rimase ferma ad accogliere e raccogliere ogni raggio fino a quando si placò la tempesta mentre un frullo d’ali riempì improvviso il bosco. Uccelli lilla e azzurri, immensi e vivi, si stagliarono in quell’occhio di cielo che sovrastava la radura, entrarono in lei mentre si dissolvevano alla realtà visibile del mondo rinato.

Reitia sentì il cuore pulsare di vita nuova.

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